La storia del territorio dell’odierno Comune di Saint-Rhémy-en-Bosses è strettamente collegata alle vicende che interessarono lo sfruttamento del valico del Gran San Bernardo già in epoche protostoriche, quando la Valle d’Aosta era abitata dai Salassi. Questa popolazione occupava il territorio corrispondente all’attuale versante italiano del Summus Poeninus, mentre la Vallis Poenina, nel Vallese, era possesso dei Veragri, stanziati immediatamente sotto l’Alpis Poenina stessa, laddove sorgeva anche la loro città principale, Octodurus (Martigny).
Appare ormai certo che tra il 3000 e il 2500 a.C., periodo dell’Età Neolitica, a seguito dello scioglimento dei ghiacciai l’uomo si insediò in varie aree della Valle d’Aosta, come testimonia il ritrovamento di tracce di sepolture nei pressi di La Salle, Saint-Nicolas, Montjovet; si trattava probabilmente di contadini primitivi che sfruttavano il valico dell’Alpis Poenina come via di transito e di comunicazione per avviare scambi di beni e oggetti materiali con il vicino Vallese, come conferma il rinvenimento oltralpe di asce in pietra verde (giadeite) risalenti a quel periodo e provenienti per certo dalla Valle d’Aosta.
Durante gli scavi condotti nel 1842 per la costruzione del presbiterio di Saint-Rhémy furono inoltre ritrovate file di scheletri con i piedi rivolti a sud, probabilmente di epoca neolitica, frammisti a resti romani di sepolture imperiali successive e sovrastanti; queste tracce testimoniano la presenza di insediamenti molto antichi in quest’area, ampiamente sfruttata come zona di passaggio anche durante l’Età del Bronzo.
La strada che conduce al passo consisteva inizialmente in un ripido sentiero, una pista, quanto mai primitiva, che sfruttava al massimo le caratteristiche naturali del territorio, senza migliorie o modifiche dovute alla mano di quei primi abitatori; Proprio le difficoltà derivanti dalla natura stessa del percorso inducono a ritenere che lungo il percorso sorgessero luoghi di sosta e riparo per quei primitivi viandanti, collocati approssimativamente laddove anche i Romani eressero le loro stazioni di sosta lungo la strada imperiale Augusta Praetoria – Lugdunum.
I ritrovamenti archeologici che confermano la frequenza dei transiti al valico sono molteplici: manufatti, come un frammento di rasoio in bronzo e una fibula serpeggiante, e soprattutto monete ritrovate ai piedi dell’altare del dio Pen, con cui i viandanti intendevano propiziarsi la divinità per garantire una felice conclusione al loro viaggio.